lunedì 5 novembre 2018

Mad Mini Reviews: L'Uomo che uccise Don Chisciotte


Terry Gilliam, tra il sonno della realtà e l’ironia della tragedia

Non ce ne voglia il signor PrYce,
è bellissimo questo poster!

Poco più di un mese fa è uscito l’ultimo film di Terry Gilliam, L’Uomo che uccise Don Chisciotte, e da aspirante brava cinefila sono subito corsa al cinema. Conoscevo il famoso regista e avevo già visto alcuni suoi film quand’ero più piccola; stavolta però è riuscito a conquistarmi e a far sì che lo rivalutassi. Perché? Ora ve lo racconto.

Mi sembra doveroso partire dal meraviglioso passato di Terry Gilliam. Prima di essere un regista coi controfiocchi è stato membro del gruppo comico Monty Python, attivo fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80 e famoso per aver prodotto film, show televisivi, canzoni e quant’altro con una comicità intelligente e surrealista. Sicuramente non tutto il loro materiale è ad oggi pienamente apprezzabile –  ad esempio, secondo la mia opinione da miscredente Brian di Nazareth poteva essere molto più cattivo e meno legato ai classici sketch del gruppo – ma rimane sempre una piacevole compagnia


Ma soprattutto è impossibile non adorarli

Gilliam ha contribuito come attore occasionale, regista e animatore. Ecco, io spero abbiate visto la sigla e gli intermezzi del Monty Python’s Flying Circus o i titoli di testa dei film del gruppo, e se non lo avete ancora fatto spero stiate rimediando in questo preciso momento, perché sono fra le animazioni più belle che abbia mai visto.

Dalla fine degli anni '70 il nostro protagonista inizia a lavorare in proprio. Fra i titoli più importanti della sua filmografia abbiamo Brazil, capolavoro del 1985, che a dispetto del nome da cinepanettone è invece l’adattamento cinematografico più famoso di 1984 di George Orwell. Apoteosi della distopia allucinata e allucinante, regala più di due ore di disagio così sublime che fa venir voglia di passare almeno un giorno nella dittatura postmoderna ritratta nel film. 


Ne è un esempio una delle scene iniziali, quella nell’ufficio del Ministero, in cui una sapiente carrellata mostra gli impiegati, grigi quanto l’ambiente circostante, intenti a compiere gli stessi gesti in maniera meccanica e ripetitiva; in sottofondo, una variazione sul tema di Aquarela do Brasil conferisce alla scena una patina di genio, irrealtà e memorabilità, oltre al fatto che non smetteresti di fischiettare quel motivetto per giorni.

Negli anni ’90 il caro Terry, tra gli altri, ha sfornato un paio di cult, di quelli che appena li sentirete nominare esclamerete subito Ah, ma è di Gilliam?: L’esercito delle dodici scimmie e il celeberrimo Paura e Delirio a Las Vegas. Insomma, più rinomati di così non si può.


È a cavallo del nuovo secolo che Gilliam inizia a portare avanti il suo progetto su Don Chisciotte, personaggio che ama da sempre. La prima produzione si rivela però fallimentare, sia per vari problemi di salute del fu attore protagonista, sia per una serie di calamità atmosferiche che colpiscono i set esterni scelti per il film. Potete vedere tutto nel documentario Lost in La Mancha, ma non ho il coraggio di consigliarvelo perché temo vi spezzerebbe il cuore.


:(
Il nostro beniamino, fra un tentativo e l’altro, non si ferma e nel primo decennio del 2000, fra gli altri, gira lo stucchevole I fratelli Grimm e l’incantevole strega e Parnassus: l’uomo che voleva ingannare il diavolo, magica parabola sulle tentazioni e sulle possibilità dell’immaginazione


Già l'ambientazione in un moderno circo itinerante è di per sé geniale!

Ma è giunto il momento di fare un salto di quasi dieci anni e di parlarvi del film che ha finalmente visto la luce: L’Uomo che uccise Don Chisciotte. Il protagonista del film, Toby Grosini, affermato giovane regista di pubblicità, si trova in Spagna per girare uno spot basato su Don Chisciotte; preda della crisi artistica e della nostalgia del suo primo film, basato anch’esso sul romanzo di Cervantes e girato non lontano dall’attuale set, decide di andare a trovare il passato finendo per rimanerne invischiato. 


Verso la "pazzia", miei prodi!

Qualcuno ha detto che questo film rappresenta Gilliam allo stato puro, io non posso che dargli ragione: la sua cifra stilistica brilla in tutta la sua fierezza. Il graduale passaggio dalla realtà all’immaginazione è accompagnato da inquadrature sempre più sbilenche e da grandangoli sempre più numerosi; i colori da neutri e basici divengono più vivaci col crescere dell’allucinazione fino al raggiungimento del climax, al termine del quale la situazione torna alla normalità. Sarà davvero così?


Anche i protagonisti non sono meno caratteristici: tutti troppo intelligenti, o troppo insoddisfatti, o entrambe le cose, vorrebbero che la loro realtà fosse diversa da com’è e cercano il modo di cambiarla creandosi fantasie in cui vivere, che diventano la loro consolazione e la loro condanna. Come a dire ridiamoci su per non piangere, come a dire che l’ironia è la più alta forma d’intelligenza perché se si rimane un po’ bambini si vive meglio, e probabilmente Terry Gilliam ne è la dimostrazione vivente e la più viva speranza per chiunque si senta così. Più o meno tutti noi.


Ricordate sempre: la sanità è relativa

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