lunedì 24 dicembre 2018

Mad Mini Reviews: Una Poltrona per Due

Ovvero cosa può ancora insegnarci una commedia natalizia





Anche quest’anno avremo occasione di vedere Una Poltrona per Due in tv, grande classico tra i film natalizi la cui trama ha veramente poco a che fare col Natale ma rimane sempre attualissima e piena d’insegnamenti su cui riflettere – sì, anche se sotto le feste si mangia e si beve e l’ultima cosa che si ha voglia di fare è pensare alle cose serie. 


La storia la sappiamo più o meno tutti: due magnati della borsa di Philadelphia, i fratelli Duke, assistono a un apparente tentativo di rapina di un senzatetto afroamericano ai danni del giovane e facoltoso direttore della loro filiale. Fanno quindi una scommessa e scambiano di ruolo i due uomini per scoprire quanto l’ambiente sociale può influire sulla natura umana, dando il via alle gag e ai colpi di scena che conosciamo fino all’iconico finale ambientato a Wall Street.  

La pellicola è uscita nel 1983 ed è diretta da John Landis, conosciuto per aver diretto diversi cult della cinematografia moderna, fra cui spiccano Animal House (1978) e The Blues Brothers (1980). Nei suoi film, grazie a una satira sovversiva e dissacrante, ha sempre preso di mira autorità, istituzioni e ideologie quasi intoccabili: dalle confraternite universitarie alla polizia, un po’ tutti hanno preso una bacchettata sulle nocche, il tutto condito con grasse risate e gag geniali. 
In Una Poltrona per Due ha puntato il dito ancora più a fondo e più in alto: al capitalismo e alla finanza. 


Prima di tutto Landis sgancia qualche colpo ben assestato ai ricchi, rappresentandoli tutti come privi d’intelligenza emotiva – e particolarmente sgradevoli nei confronti dei sottoposti e dei meno abbienti – viziati ed estremamente taccagni: tutto è per loro talmente dovuto che ogni cosa ha perso valore. Solo il denaro fa eccezione, vera e propria fissazione dei i due fratelli.
In secondo luogo si scaglia contro i magnati e i broker finanziari, colpevoli in primo luogo di giocare con i soldi, e in un certo senso con la vita delle persone a loro piacimento, senza alcun tipo di remore o scrupoli. 


Insieme a tutto ciò, grazie allo scambio di ruoli sono loro stessi a mostrarsi come privi di particolari qualità e facilmente sostituibili nel loro mestiere: un barbone di colore – anche in questo film il razzismo insito nella società americana viene sbandierato senza tante cerimonie – sebbene non abbia l’esperienza di un vero broker, riesce comunque a fare questo tipo di lavoro con altrettanta facilità e persino meglio di loro. Non dimentichiamoci inoltre che i fratelli Duke tentano il colpo grosso illegalmente, pagando un sicario che gli procuri dati su prodotti alimentari prima di un’importante compravendita a Wall Street... insomma, come darsi la zappa sui piedi! 

L’ultima perla, forse il tocco bittersweet di tutto il film, è il motivo per cui i due ricchi signori decidono di mettere in atto la loro scommessa: Randolph, il più anziano, è convinto della teoria tutta Positivista secondo cui è l’ambiente in cui cresce e vive una persona a plasmarla maggiormente. Di questo ne abbiamo prova tutti i giorni: chi di noi non conosce persone di buon cuore senza particolari titoli di studio, e persone che nonostante lauree e varie esperienze lavorative sono miserevoli? Possiamo dire quel che si vuole, il Fattore C, inteso come Caso ovviamente, ha un ruolo determinante nella vita di ognuno di noi.

Al di là di tutte queste riflessioni, ricordatevi anche che l’ironia è la forma più alta dell’intelligenza umana: stasera, prima di tutto, non scordatevi di ridere, sul film e sulle vostre (dis)grazie.
Cin cin e tanti auguri!

E non mangiate il salmone come Winthorpe!


giovedì 20 dicembre 2018

Mad Mini Reviews: Bohemian Rhapsody

È stata un’impresa ardua ma ce l’ho fatta: ho visto Bohemian Rhapsody!

Sono fan dei Queen per merito dei miei genitori, che me li hanno fatti ascoltare fin da piccola. La loro musica è stata la colonna sonora di molti momenti felici, alcuni proprio risalenti al periodo natalizio, quindi il film non me lo sarei perso per nessuna ragione. Perciò, parliamone!

Il film porta la firma di Bryan Singer, regista indipendente famoso per aver diretto I Soliti Sospetti e quasi tutte le pellicole dedicate agli X-Men – licenziato però dalla produzione verso la fine delle riprese, e sostituito da Dexter Fletcher per la supervisione degli ultimi step sebbene quest'ultimo non sia stato accreditato – .

Partono i titoli di testa, in cui vediamo Freddie Mercury, interpretato molto bene da Rami Malek, prepararsi e dirigersi al Wembley Stadium in occasione del Live Aid, con in sottofondo Somebody to Love.

Il film riprende poi dal 1970, con Freddie, (mis)conosciuto ancora come Farrokh Bulsara, che lavora come facchino all’aeroporto di Heathrow. Una sera in un locale londinese riesce a presentarsi a Brian May e Roger Taylor, rispettivamente il chitarrista e il batterista degli Smile, che sono stati appena scaricati dal frontman. 
Con l’entrata di John Deacon in poco tempo riescono a metter su una nuova band e suonano in giro per la Gran Bretagna riscuotendo da subito notevole successo, fino alla convocazione da parte di alcuni agenti dell’EMI che vogliono mettere il gruppo sotto contratto.

Giovani, capelloni e spacconi. Il fascino degli anni '70!
Nonostante la partenza “a bomba”, dalla produzione dei primi cd e di A Night at the Opera, album contenente la celeberrima Bohemian Rhapsody, il film inizia a scavare nelle tematiche che verranno affrontate durante tutta la sua durata: la storia del gruppo, il rapporto interpersonale fra i membri, turbolento in sala prove ma comunque sincero e produttivo – che vi piacciano o meno, i Queen hanno composto pezzi che hanno fatto la storia della musica… rettifico: i Queen hanno fatto la storia della musica –, e soprattutto la vita di Freddie Mercury, in bilico fra il personaggio e la persona, dedito agli eccessi nel blando tentativo di eliminare i momenti morti dovuti alla sua condizione di essere umano.

Il film termina durante l’esibizione del Live Aid nel 1985, con una sequenza coinvolgente e commovente, davvero ben girata. Nei titoli di coda si vede un’esibizione dei veri Queen sulle note di Don’t Stop Me Now, la ciliegina sulla torta.

Fa impressione, nevvero?
Come già vi ho accennato sopra i primi minuti non mi hanno del tutto convinta, mi sono sembrati frettolosi, come a voler incastrare i primissimi anni di carriera della band in modo un po’ raffazzonato e pomposo – la scena in cui si conoscono e dopo due secondi fanno vocalizzi insieme mi è sembrata da telefilm musicale un po’ melenso –, ma il tiro viene aggiustato quasi subito. 

Le scene delle performance live sono dei mini videoclip, bellissime, sfarzose, energiche e super colorate; fra l'altro chapeau agli attori che hanno impersonato alla perfezione i quattro musicisti, sono mostruosamente uguali soprattutto nelle movenze!

Non so se si nota! ;)

Sono inoltre rimasta molto contenta di come hanno gestito la biografia di Freddie Mercury: viene raccontato tutto in maniera gentile e rispettosa, senza cadere in esagerazioni o banalità. Dal rapporto con Mary Austin alla sua sessualità, passando per la dipendenza dalla cocaina all’AIDS, anche se in maniera condensata non viene tralasciato il minimo particolare, narrato sempre in punta di piedi.

Dal punto di vista tecnico, la fotografia è vecchio stile e un po’ patinata, perfetta per descrivere un gruppo sopra le righe. Nonostante il film non abbia un montaggio delle scene veramente continuo e preciso, le sequenze sono ben girate, con l’obiettivo di farci vivere l’esperienza Queen a trecentosessanta gradi: precise quando servono alla narrazione, con la giusta dose di primi piani, e spettacolari nei concerti. 

Queen

Ci sono delle inesattezze storiche e cronologiche ma, soprattutto nei biopic, si sente spesso il bisogno creare pathos per trascinare lo spettatore durante la visione, farlo divertire, rattristare, emozionare.


Tanto che quando si riaccendono le luci in sala pensi È già finito?, e sai che un riascolto della discografia dei Queen nel prossimo periodo è tanto doveroso quanto necessario, tanto ti sono mancati.
Sicuramente non è il film migliore della storia del cinema, ma se preso con leggerezza e con una piccola dose di fandom può essere un gran bell'intrattenimento!


lunedì 26 novembre 2018

Mad Mini Reviews: Hill House


La locandina della serie
"La paura è la rinuncia alla logica, l'abbandono volontario di ogni schema razionale. O ci arrendiamo alla paura o la combattiamo."


Gli edifici infestati sono un topico narrativo di enorme successo letterario e cinematografico. L’esempio più eclatante è senza dubbio Shining, il famosissimo romanzo di Stephen King da cui è tratto il film cult di Stanley Kubrick.

Come ogni topos che si rispetti, ha un degno antenato: L’incubo di Hill House, di Shirley Jackson, datato 1959. Questo romanzo è stata la fonte d'ispirazione dell'omonima serie targata Netflix, appena uscita in Italia, che sta riscuotendo considerevole successo.

Il libro narra di un raffazzonato gruppo di aspiranti studiosi del paranormale che decide di passare l’estate a Hill House, villa nota per essere maledetta e inospitale, allo scopo di individuare e testimoniare eventuali manifestazioni soprannaturali

Il punto di vista principale è quello di Eleanor “Nell” Vance, giovane donna disagiata e infelice che nell’infanzia sembra aver assistito a un fenomeno poltergeist. La ragazza, fra una spaventosa manifestazione e l’altra, si lascia sedurre dalla casa convincendosi di aver trovato il suo posto felice nel mondo. O forse è Nell stessa, suggestionata dalle dicerie su Hill House, a divenire preda di una psicosi autoindotta.


La copertina del romanzo, edito da Adephi

La storia del romanzo, interessante nonostante risulti piuttosto grezza e non adeguatamente sviscerata  ve ne accorgerete leggendola, e io vi consiglio di farlo  è stata approfondita e migliorata da Mike Flanagan, regista indipendente che ha girato Oculus - il rilfesso del male, e diverse produzioni Netflix. 

Nella serie i protagonisti sono i membri della famiglia Crain, già  sopravvissuti una volta a Hill House e costretti ad affrontare nuovamente i loro traumi giovanili, a partire dalla morte della madre, mai del tutto chiarita, fino al rapporto conflittuale con un padre assente e dal carattere cupo e introverso. 


E come potete vedere, non ne sono molto contenti

A differenza del libro, che ha una protagonista e dei personaggi secondari definiti dalla sua prospettiva malata, la serie è corale e ognuno dei Crain è caratterizzato in maniera potente ed efficace.  Olivia, Hugh e i loro cinque figli ci vengono presentati con tutte le loro manie, le loro ossessioni, le loro paure e le maschere scelte per nasconderle o per esorcizzarle senza successo. Almeno finché non decideranno di arrendersi o di affrontarle, ma questo lo scoprirete guardando lo show.


Ciò che incuriosisce lo spettatore sono i perché, progettati e calcolati per intrappolarlo e costringerlo alla ricerca spasmodica delle risposte che, una a una, arrivano sotto forma di colpi di scena e cliffhanger della miglior fattura. In altre parole, è una di quelle serie che vi trascinerà con sé e vi costringerà a guardarla a perdifiato in pochissimo tempo  io, per dire, l’ho divorata in un paio di giorni , lasciandovi frastornati e vagamente sconvolti, ma sicuramente soddisfatti


Dopo potreste ritrovarvi con quest'espressione stampata in viso :D

Hill House è forte anche sul piano tecnico. Regia impeccabile e sempre focalizzata sull’obiettivo da raggiungere: che sia confondere, spaventare a morte o commuovere lo spettatore, ci riesce sempre benissimo. Merita una menzione speciale il sesto episodio, Due Temporali, girato con una serie di lunghi piani sequenza destabilizzanti e sublimi: provare per credere. 
La fotografia è notevole e riesce a mescolare fantasia e realtà, sogno e veglia, paura e coraggio, privandoli di un confine vero e proprio e rendendoli reali e tangibili, grazie anche alla sceneggiatura solida e ben strutturata. Unica pecca è l’uso, a mio parere eccessivo, e la qualità della computer grafica, a volte troppo evidente.

Come nel libro, il vero protagonista è il dualismo fra la casa, responsabile delle paure più ataviche, e i soggetti particolarmente sensibili che sviluppano pericolose nevrosi in presenza di luoghi suggestivi. Sono io o è Hill House?, continuano a domandarsi i personaggi della serie, e noi, come loro, non lo capiremo fino alla fine. Perché si sa, ci sono paranoie così influenti da sembrare realtà, dalle quali possiamo scappare quanto vogliamo ma che ciclicamente tornano a farci visita, fino al giorno in cui non decideremo di dar loro vita o di sconfiggerle e sotterrarle in una fossa una volta per tutte.

Non dimenticate di cercare i "fantasmi nascosti". Vediamo se li scoverete tutti! :)

lunedì 5 novembre 2018

Mad Mini Reviews: L'Uomo che uccise Don Chisciotte


Terry Gilliam, tra il sonno della realtà e l’ironia della tragedia

Non ce ne voglia il signor PrYce,
è bellissimo questo poster!

Poco più di un mese fa è uscito l’ultimo film di Terry Gilliam, L’Uomo che uccise Don Chisciotte, e da aspirante brava cinefila sono subito corsa al cinema. Conoscevo il famoso regista e avevo già visto alcuni suoi film quand’ero più piccola; stavolta però è riuscito a conquistarmi e a far sì che lo rivalutassi. Perché? Ora ve lo racconto.

Mi sembra doveroso partire dal meraviglioso passato di Terry Gilliam. Prima di essere un regista coi controfiocchi è stato membro del gruppo comico Monty Python, attivo fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80 e famoso per aver prodotto film, show televisivi, canzoni e quant’altro con una comicità intelligente e surrealista. Sicuramente non tutto il loro materiale è ad oggi pienamente apprezzabile –  ad esempio, secondo la mia opinione da miscredente Brian di Nazareth poteva essere molto più cattivo e meno legato ai classici sketch del gruppo – ma rimane sempre una piacevole compagnia


Ma soprattutto è impossibile non adorarli

Gilliam ha contribuito come attore occasionale, regista e animatore. Ecco, io spero abbiate visto la sigla e gli intermezzi del Monty Python’s Flying Circus o i titoli di testa dei film del gruppo, e se non lo avete ancora fatto spero stiate rimediando in questo preciso momento, perché sono fra le animazioni più belle che abbia mai visto.

Dalla fine degli anni '70 il nostro protagonista inizia a lavorare in proprio. Fra i titoli più importanti della sua filmografia abbiamo Brazil, capolavoro del 1985, che a dispetto del nome da cinepanettone è invece l’adattamento cinematografico più famoso di 1984 di George Orwell. Apoteosi della distopia allucinata e allucinante, regala più di due ore di disagio così sublime che fa venir voglia di passare almeno un giorno nella dittatura postmoderna ritratta nel film. 


Ne è un esempio una delle scene iniziali, quella nell’ufficio del Ministero, in cui una sapiente carrellata mostra gli impiegati, grigi quanto l’ambiente circostante, intenti a compiere gli stessi gesti in maniera meccanica e ripetitiva; in sottofondo, una variazione sul tema di Aquarela do Brasil conferisce alla scena una patina di genio, irrealtà e memorabilità, oltre al fatto che non smetteresti di fischiettare quel motivetto per giorni.

Negli anni ’90 il caro Terry, tra gli altri, ha sfornato un paio di cult, di quelli che appena li sentirete nominare esclamerete subito Ah, ma è di Gilliam?: L’esercito delle dodici scimmie e il celeberrimo Paura e Delirio a Las Vegas. Insomma, più rinomati di così non si può.


È a cavallo del nuovo secolo che Gilliam inizia a portare avanti il suo progetto su Don Chisciotte, personaggio che ama da sempre. La prima produzione si rivela però fallimentare, sia per vari problemi di salute del fu attore protagonista, sia per una serie di calamità atmosferiche che colpiscono i set esterni scelti per il film. Potete vedere tutto nel documentario Lost in La Mancha, ma non ho il coraggio di consigliarvelo perché temo vi spezzerebbe il cuore.


:(
Il nostro beniamino, fra un tentativo e l’altro, non si ferma e nel primo decennio del 2000, fra gli altri, gira lo stucchevole I fratelli Grimm e l’incantevole strega e Parnassus: l’uomo che voleva ingannare il diavolo, magica parabola sulle tentazioni e sulle possibilità dell’immaginazione


Già l'ambientazione in un moderno circo itinerante è di per sé geniale!

Ma è giunto il momento di fare un salto di quasi dieci anni e di parlarvi del film che ha finalmente visto la luce: L’Uomo che uccise Don Chisciotte. Il protagonista del film, Toby Grosini, affermato giovane regista di pubblicità, si trova in Spagna per girare uno spot basato su Don Chisciotte; preda della crisi artistica e della nostalgia del suo primo film, basato anch’esso sul romanzo di Cervantes e girato non lontano dall’attuale set, decide di andare a trovare il passato finendo per rimanerne invischiato. 


Verso la "pazzia", miei prodi!

Qualcuno ha detto che questo film rappresenta Gilliam allo stato puro, io non posso che dargli ragione: la sua cifra stilistica brilla in tutta la sua fierezza. Il graduale passaggio dalla realtà all’immaginazione è accompagnato da inquadrature sempre più sbilenche e da grandangoli sempre più numerosi; i colori da neutri e basici divengono più vivaci col crescere dell’allucinazione fino al raggiungimento del climax, al termine del quale la situazione torna alla normalità. Sarà davvero così?


Anche i protagonisti non sono meno caratteristici: tutti troppo intelligenti, o troppo insoddisfatti, o entrambe le cose, vorrebbero che la loro realtà fosse diversa da com’è e cercano il modo di cambiarla creandosi fantasie in cui vivere, che diventano la loro consolazione e la loro condanna. Come a dire ridiamoci su per non piangere, come a dire che l’ironia è la più alta forma d’intelligenza perché se si rimane un po’ bambini si vive meglio, e probabilmente Terry Gilliam ne è la dimostrazione vivente e la più viva speranza per chiunque si senta così. Più o meno tutti noi.


Ricordate sempre: la sanità è relativa

lunedì 22 ottobre 2018

Sara Sun - La comunicazione visiva

Bentornati sul blog di Livorno Artistica!
Anche se ultimamente siamo meno presenti il nostro percorso di conoscenza di nuovi artisti non finisce!
Ecco che vi presentiamo Sara, una giovane grafica che ci ha colpito con le sue immagini.
Seguitela sulla sua pagina ufficiale: clicca qui

Ciao a tutti! Che dire non sono molto brava con le parole, riesco a esprimermi meglio disegnando e creando, fin dalle superiori! (ho studiato ragioneria..ma passavo la mattina a riempire il banco di disegni e scritte! le bidelle mi odiavano!). 




Dopo il diploma ho studiato grafica pubblicitaria a Firenze alla scuola Internazionale di Comics, successivamente ho subito fatto varie esperienze di lavoro in diverse agenzie di comunicazione. 





Adoro il mondo dell’arte in generale, devo dire che Livorno con il suo mare ispira molto per le idee, forse è per questo che in questa città ci sono così tanti artisti? pittori, fotografi, e tanti bravi creativi… chi lo sà… forse sarà il salmastro che si attacca tra il cuore e la mente, e fa creare…una “marea di cose”:-) 


Contatti: Sara Boddi: sarasungrafica@gmail.com

giovedì 11 ottobre 2018

Mad Mini Reviews: Better Call Saul

La locandina della prima stagione.
Spacca eh?
Ciao a tutti e benvenuti!


Con questa prima recensione vorrei in parte onorare una serie tv molto importante per me e Daniele, nonché una delle più grandi ispirazioni per la nostra serie web Livore.
No, non sto parlando di Breaking Bad, ma della sua versione Law & (Dis)Order Better Call Saul, in occasione della recente uscita della quarta stagione.

Chi conosce Breaking Bad infatti – do per scontato che l’abbiate vista o che la conosciate per cultura generale – sa che il suo geniale creatore Vince Gilligan, già produttore di X-Files, assieme a Peter Gould ha avuto la brillante intuizione di produrre uno spin-off sul personaggio di Saul Goodman in collaborazione con Netflix, potenza dell’on demand.

Il tono generale è diverso dalla serie originale, ma non quanto ci si potesse aspettare. Sicuramente c'è stato un netto miglioramento tecnico, a partire dalla fotografia  usata in maniera più specifica, specie per definire l'ordine temporale degli eventi: noterete infatti che il presente viene narrato con una fotografia più calda e naturale mentre i flashback hanno una luce fredda e bluastra; menzione a parte per i flashforward, o anticipazioni, che sono presenti all'inizio di ogni stagione e vengono rappresentati in bianco e nero. 
Anche le riprese risultano più pulite e omogenee grazie a un maggior utilizzo d'inquadrature fisse. 

Come in Breaking Bad si dà risalto ai personaggi e alle storie personali, alle sfumature e all’evoluzione caratteriale, anche se spesso sarebbe più corretto definirla involuzione. L’action è meno presente in favore del genere legal, per il resto non mancano un pizzico di thriller, del buon drama e la dose consigliata, sebbene più dosata, di black humor

Soprattutto è il mix ben calibrato fra storie già conosciute ma non approfondite, e sottotrame nuove e avvincenti ad aver subito catturato gli spettatori e contribuito a farle ricevere il plauso crescente della critica.
Come accennato sopra, l’intuizione dei produttori è stata brillante. Forse non ci avete fatto caso, ma a differenza di tutti gli altri personaggi di Breaking Bad ci siamo affezionati all’esilarante avvocato dei criminali pur non sapendo nulla, nada, zero del suo passato né del suo presente al di là del suo esercizio professionale. Quale più felice soluzione, quindi, se non quella di incentrare la nuova serie su questo personaggio così misterioso eppure già così amato?

Si riparte perciò da quello che Saul ci aveva anticipato alla fine della quinta stagione di Breaking Bad: nella scena di apertura in bianco e nero con in sottofondo Address Unknown degli Ink Spots – incredibile come in queste serie ci sia sempre la giusta colonna sonora per ogni situazione –, vediamo il nostro Saul in veste di “triste individuo dal basso profilo”. Sotto la falsa identità di Gene Takavic lavora, mesto e svogliato, per una catena di pasticcerie produttrice di cinnamon rolls – quei dolci americani di cui girano centinaia di tutorial sui social e che m’incuriosiscono da sempre –; l’unica gioia della giornata se la concede la sera sul divano, riguardando le sue vecchie pubblicità e ripensando ai bei tempi andati. 

La serie torna poi al 2002, quando il buon Saul si faceva ancora chiamare James “Jimmy” McGill, per sbancare il lunario lavorava al tribunale di Albuquerque come avvocato d’ufficio e aveva lo studio dentro un centro estetico gestito da un’acida signora di origine vietnamita. Ancora non è dominato dal Lato Oscuro, ma scoprire quando e come avverrà il drastico cambiamento tiene sicuramente col fiato sospeso.


Ma non è solo la storia di Jimmy/Saul a trainare lo show: fanno egregiamente la loro parte alcuni carismatici personaggi già conosciuti in Breaking Bad, evitandoci lo spaesamento dato dalla totale novità, e le interessanti new entry che vanno a completare il gruppo. 

Rivedremo quindi Mike Ehrmantraut, il tuttofare più cazzuto delle serie tv, la folle e spietata famiglia Salamanca, e il buon vecchio Gus Fring, sempre freddo e temibile come un serpente a sonagli.



Dall’altro lato vengono introdotti i nuovi personaggi, a cominciare dal team dello studio legale HHM (acronimo di Hamlin, Hamlin & McGill), di cui fanno parte Harold Hamlin, Kimberly Wexler e il fratello del protagonista, Charles McGill.

Harold Hamlin fin da subito risulta infido ed estremamente antipatico, specie per la sufficienza con cui tratta Jimmy; fino a che punto è veritiera quest’antipatia non posso svelarvelo, ma la sua faccia a schiaffi non lo rende in ogni caso un personaggio piacevole. 

Kim Wexler rispecchia la versione riveduta e corretta del personaggio femminile di Breaking Bad: è una donna in carriera di spiccato intelletto che lotta per raggiungere i suoi obiettivi e che si prodiga per aiutare gli altri. Ma anche i più buoni potrebbero cadere in tentazione… insomma, stava per succedere persino a Gesù!

E poi abbiamo Charles “Chuck”McGill, avvocato con un passato di successi che ora preferisce starsene rintanato in casa, senza elettricità e con una coperta isotermica a portata di mano. Sarà un sostenitore della teoria sulle scie chimiche? Vi basta guardare la serie per scoprirlo.
Last but not least, fra i nuovi personaggi abbiamo anche un giovane scagnozzo dei Salamanca, Ignacio “Nacho” Varga, il classico duro con la faccia da buono. Avrà davvero scelto in quale scarpa mettere il piede?

Orbene, ho detto tutto, spero di avervi messo curiosità e di avervi invogliato a guardare Better Call Saul prima di subito

Lunga vita a Vince Gilligan e alle sue idee, alla famiglia sempre più numerosa di personaggi che ha creato, e agli attori che danno loro vita.


Alla prossima!


Da sx a dx: Peter Gould, Jonathan Banks (Mike), Bob Odenkirk (Saul), Vince Gilligan.
Spaccano eh?

lunedì 8 ottobre 2018

Introduzione: Veronica presenta Mad Mini Reviews

Recensioni semiserie di una spensierata pensierosa



Ciao a tutti e benvenuti in questa nuova avventura con Livorno Artistica!

Innanzitutto tanto piacere, mi chiamo Veronica, sono di Livorno e studio al DAMS all’Università di Firenze. Sono amica di lunga data di Daniele e faccio parte dello staff di Livorno Artistica.

Ho sceneggiato Livore e L'Ombra di Kh'Raahal e mi sono occupata del videomaking di Livore e di alcuni trailer di L.A. Contribuisco anche a organizzare gli eventi legati al nostro gruppo.

Inoltre faccio parte da circa tre anni della Jam Letteraria, un collettivo di scrittura creativa di Livorno che mi sprona ad abbattere la pigrizia e a scrivere con costanza.

La mia passione per il cinema e le serie tv, latente forse da sempre, è esplosa fin dalle prime lezioni universitarie. Per questo qualche anno fa Daniele mi propose di creare una rubrica dedicata. Inizialmente rifiutai, ma col tempo e con un po’ di pratica  ̶  le recensioni letterarie scritte con la Jam per la webzine CliccaLivorno hanno aiutato  ̶  ho preso coraggio e mi sono buttata in quest’esperienza.

Prometto solennemente che parlerò solo di ciò che avrò visto e analizzato io stessa, e che tutto quello che scriverò sarà sincero e sentito fino all’ultima sillaba. 

Perché proprio Mad Mini? È il soprannome che mi ha dato Daniele e anche il nome del mio personaggio in Livore (sì, la pazzoide con i capelli rossi).

E poi il diminutivo del mio nome è terribile.

Orbene, lungi da me annoiarvi più del dovuto, a giovedì con la prima recensione!

giovedì 27 settembre 2018

L'Espressione estemporanea di emozioni - La musica di Caterina Barontini

Bentornati amici di Livorno Artistica, il vostro dispensatore di arte livornese preferito.
Oggi abbiamo il piacere di farvi conoscere la musicista Caterina Barontini.
Leggete cosa ci ha raccontato sulla sua passione creativa!


Ciao a tutti!
Sono Caterina Barontini, pianista, compositrice e songwriter.
Sono felice di presentarmi su invito di Livorno Artistica, per condividere con voi la mia passione per la musica. Mi piace molto l’idea che questo articolo mi faccia entrare in questo blog, poiché mi sento di appartenere ad entrambi gli elementi base del vostro gruppo, “Livorno” e la dimensione “Artistica”. 

Livorno è una città che riesce sempre ad offrirmi gli spazi per recuperare le energie, poiché ogni volta che ne ho bisogno mi ricarica il corpo e l’anima con il suo lungomare, le sue aree verdi, la sua urbanistica curiosa e unica. Tra la mia gente semplice e anarchica non è più un’utopia ritrovare in pochi minuti il silenzio interiore, quel silenzio che è la prima e preziosissima sorgente di ogni pensiero creativo, la fonte e l’inizio di ogni nuova musica.

venerdì 6 luglio 2018

I giurati del Livorno Artistica Photo Awards 2018 - Daniele Salvato

Daniele Salvato, nato a Livorno nel 1981, da sempre vive per la creatività.
Scrittore, sceneggiatore e appassionato di fotografia, nel 2013 ha creato Livorno Artistica dando voce a tantissimi artisti di Livorno e organizzando eventi e contest che hanno riscosso grande successo.

Daniele ha iniziato a scrivere sin da piccolo, affinando la sua tecnica e e il suo modo di scrivere che descrive anche in maniera cinica e sarcastica il mondo che lo circonda, ma le prime soddisfazioni nel mondo della scrittura sono arrivati quando ha iniziato a scrivere racconti dell'orrore e la rivista Altrisogni ha pubblicato il suo racconto Soggetto Zero da cui alcuni anni dopo è stato tratto un cortometraggio diretto da Enrico Fernandez, finalista tra l'altro al FIPILI Horror Festival.

mercoledì 4 luglio 2018

I giurati del Livorno Artistica Photo Awards 2018 - Andrea Dani

Andrea Dani, fotografo per pura passione, paesaggista specializzato soprattutto in immagini che ritraggono la sua amata città, Livorno, esprime la sua arte pubblicando o come preferisce definire lui “esponendo” ogni giorno sul suo blog fotografico (www.livornot.it) dal luglio del 2011, e sulla pagina Facebook “Livornot by Andrea Dani”, un immagine di scorci, di paesaggi, di bellissimi tramonti, persone o situazioni che rendono la città labronica davvero unica, facendo innamorare migliaia di persone delle sue opere (ad oggi 4.500 followers su Tumblr, 7.300 sulla sua pagina Facebook e quasi 2.000 su Instagram, con un archivio di migliaia di foto consultabili). 

martedì 3 luglio 2018

I giurati del Livorno Artistica Photo Awards 2018 - Rita Guarino

Rita Guarino (Napoli 1974) si avvicina all’arte con carta e penna: da un primo e sincero interesse verso la poesia, il richiamo delle immagini diviene però col tempo determinante. 

Dopo diversi tentativi tecnici, Rita trova nel medium fotografico il linguaggio più aderente al suo animo poetico, in grado di tradurre su carta ciò che i suoi occhi registrano ed elaborano della realtà che la circonda. Autodidatta appassionata, coltiva la conoscenza tecnica con una sperimentazione continua ed il confronto diretto con quei professionisti del settore che strada facendo, ha potuto incontrare. 

martedì 19 giugno 2018

La passione per la musica: Noemi Baiocchi e gli Acoustic Jam

Bentornati amici di Livorno Artistica!
Oggi abbiamo il piacere di farvi conoscere la cantante Noemi Baiocchi. Assieme a Andrea Sonetti hanno creato il duo Acoustic Jam, seguiteli sulla loro pagina ufficiale (clicca qui) e leggete come è nata questa jam musicale.

Acoustic Jam è la bella Musica in Acustico. Cover dei migliori Artisti internazionali e Italiani. Arrangiamenti personali e tanta tanta passione. Passione per la musica, sviscerata e sincera di Noemi Baiocchi ( voce) Andrea Sonetti ( chitarra). 



Noemi, si esibisce fin da piccola

venerdì 8 giugno 2018

Livorno Artistica PHOTO AWARDS 2018


Amici della creatività, torna per la IIa edizione il LIVORNO ARTISTICA PHOTO AWARDS!


Il contest fotografico di Livorno Artistica mette in palio come premio le prestigiose Targhe per i vincitori delle categorie: Premio del pubblico, Premio della Giuria
più altri premi a sorpresa!

Partecipare è facile, basta inviare una foto a livornoartistica@gmail.com e solo se raggiungerete la fase finale vi chiederemo un piccolo contributo per allestire la giornata di premiazione.

Per tutte le info leggete il regolamento ---> clicca qui

Ecco le foto della premiazione dello scorso anno