Siete spossati, avete mal di testa e vi
posso anche capire. D'altronde ve ne state ogni santo giorno per ore davanti a
uno schermo in ufficio a trafficare tra email e fatture, oppure siete al quinto
anno di medicina e non avete più spazio nella memoria per immagazzinare altre
informazioni per il prossimo esame.
Però soffermatevi ad osservare, analizzate
quello che vi sta intorno. Un mondo che sembrerebbe da fuori qualcosa di bello
e dinamico – sempre che tu non sia nato nel terzo mondo. Eppure quanta
desolazione vi trovo io, nato forse troppo tardi, privato del godere di tutto
il bello che i grandi ci raccontano a voce, alla tv, alla radio, nei
documentari, nei film, nelle canzoni. Siamo nati troppo tardi ragazzi, ci hanno
privato dei bei tempi andati. Ci siamo persi i grandi movimenti, l'ignoranza
genuina, il vinile, i Rolling Stones, il rimorchiare senza strategie
tecnologiche.
Fanculo i trilli, i messaggi, gli smiles.
Fanculo i trilli, i messaggi, gli smiles.
photo by Daniele Salvato |
E questi che tempi sono, invece? Non trovo
definizione. Forse perché siamo il niente: pieno deserto intellettuale.
Un'infinita e solitaria landa, dove cammino senza riuscire a trovare un posto
fisso, dove le gioie di chi mi sta vicino non coincidono proprio con le mie.
Non posso neanche guardare negli occhi una
ragazza, che questa mi fissa accigliata, mi squadra, mi vorrebbe sputare
addosso, diamine, la vedo. Poi bisbiglia qualcosa alla sua amica, se la
ridacchia, ed entrambe se ne vanno, guardandomi dall'alto in basso o viceversa.
Al quasi massimo delle probabilità, la donzella in questione, non avrebbe
accennato neanche un sedicesimo di quella reazione se fossi passato di
soppiatto dietro di lei e le avessi osservato le natiche con lo sguardo
libidinoso e carico di morbosità.
E poi le vedi queste tizie, riempiendosi la lingua di parole sui social contro i maschi che non sanno trattare bene una femmina, sulla violenza sulle donne, sull'emancipazione del genere femminile. Una domanda mi sorge spontanea.
photo by Daniele Salvato |
E poi le vedi queste tizie, riempiendosi la lingua di parole sui social contro i maschi che non sanno trattare bene una femmina, sulla violenza sulle donne, sull'emancipazione del genere femminile. Una domanda mi sorge spontanea.
Anzi due:
Tu dici questo?
Veramente?
Questo piccolo aneddoto è solo il fondo di
una piramide mal costruita, rappresentate assoluta di quel che ci abbraccia,
delle città, della gente, dell'ipocrisia, qualcosa che io non riesco più a
chiamare società.
Vengo catalogato spesso come un disperato o
un tizio che vuole per forza andare contro tutto e tutti, un coglione che per
farsi notare da tre strampalati, getta merda su tutto ciò che lo circonda. Ma
non sono così, sono solamente me stesso. E chi mi cataloga, probabilmente, vede
il bello in ciò che è estremamente banale, così scontato che viene quasi da
ridere a pensarci.
photo by Daniele Salvato |
Nella mia convinzione so di poter essere
fiero di una cosa: guardo tutto dal mio punto di vista. Ad esempio
preferisco la poesia scritta da un galeotto che a quella scritta con boria da
uno studente di letteratura da trenta e lode; credo che valga più un musicista
di strada del ragazzino dalla voce d'angelo che canta cover di Umberto Tozzi al
festival del karaoke; penso che i cosiddetti pazzi – ovvero coloro che i
“comuni” tengono a distanza per paura – dovrebbero essere ascoltati più dei
militanti dai discorsi triti e ritriti dei centri sociali... Per fortuna che
ogni tanto qualcuno ce la fa.
Però si va avanti.
Si tira sempre avanti.
Per l'istinto di sopravvivenza, per i
sogni, per le speranze. E io, sinceramente, a parte quella di poter
sopravvivere in un modo facile e non troppo faticoso (o meglio, angoscioso),
non so quali siano ancora i miei veri sogni, le mie speranze.
Diciamo che ci sono un sacco di cose che mi
piacerebbero fare: andare a Los Angeles, visitare l'Irlanda, suonare la
chitarra, vedere una partita di calcio in Argentina, svegliarmi una domenica
senza doposbronza. Ma questi li chiamerei obiettivi più che desideri da
realizzare.
Forse continuo a respirare per un semplice
motivo: sento di essere uno di quei pazzi che un giorno ce la faranno ad essere
ascoltati.
Michael Marini
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