Foto Ass. fotografica "Il Salmastro" |
N.B. Prima di cominciare, ti avvisiamo che ogni intervista di Livorno Acoustics è suddivisa in due parti. La metà che leggerai qui di seguito approfondisce il processo creativo del cantautore, mentre l'altra metà che potrai leggere su Occhio Livorno è incentrata sugli aspetti legati al suo rapporto con le istituzioni e con la professione di artista
1. Cosa significa per te essere un creativo?
Significa non riuscire ad addormentarmi prima che il cervello si spenga del tutto. Significa pensar continuamente ad altro, sembrare continuamente distratti e non far niente per giustificarsi.
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Sinceramente non sono in grado di descriverti le sensazioni vere e proprie. Ho cominciato a suonare nel '94 e un anno dopo con il mio primo gruppo stavamo già scrivendo canzoni nostre. La città di Livorno ha sempre avuto una prevalenza di musica inedita piuttosto che di cover, anche tra i giovanissimi. Penso quindi di essermi adeguato al mio ambiente e ad una moda, per mia fortuna, piuttosto azzeccata.
Ricordo anche che i primi tempi per lavorare sulle cover ci trovavamo in sala prove dopo magari aver ascoltato o studiato la canzone ognuno per i fatti propri. Dopo aver provato la prima canzone originale io e Federico Silvi, mio amico e chitarrista da sempre, cominciammo a trovarci quasi tutti i pomeriggi, ovunque, con basso e chitarra e lavoravamo continuamente sull’improvvisazione, partendo da accordi o idee appena partorite. Stavamo ore su 2-3 idee, eravamo davvero ammirabili. Ho cassette da 90 minuti di quelle sedute estive, andavamo in due in motorino con chitarra davanti e basso senza custodia tenuto in mano. Avessimo fatto soltanto cover, di certo, non avremmo sviluppato quel sottile orgoglio narcisista, di far vedere a tutti in strada che suonavamo. Sentivo di avere qualcosa che sarebbe stato bello lasciar scoprire a chi non ci conoscesse. In sostanza la musica originale mi ha fatto capire quanto fosse necessaria la condivisione, partire da due punti apparentemente diversi ed arrivare almeno ad un terzo.
3. Qual'è il tuo approccio alla composizione musicale?
Sono sempre stato molto pigro, ma prolifico. Prima mi limitavo a fermarmi ad una-due idee di basso/chitarra o altro, legarle, proporle e mettermi leggermente più da parte per osservarne l’evoluzione.
Negli ultimi tempi ho imparato ad approfondire da subito l’idea, arrivare anche nel giro di 3 ore ad una struttura strumentale funzionale con ritmica, percussioni, basso, uno strumento armonico che sia chitarra o tastiera, ed addirittura abbozzare un arrangiamento che sia corale, di archi ecc. In quel senso l’ispirazione non solo va fermata e registrata, ma bisogna scavare per non fermarsi al primo colore che hai intravisto. Le cose che vengono in questa prima fase sono di solito le più importanti e più facilmente legabili, ispirate dalla solita atmosfera, dalla solita aria che respiri, il solito suono dallo strumento, la solita stanchezza nelle mani o nella testa. In questo senso ne viene fuori una coerenza irripetibile e palpabile. Ho imparato che essere convincenti è importantissimo, ma non verso gli altri quanto verso sé stessi. Il resto vien da sé.
Con gli anni ho capito come dare moltissima importanza alla melodia, spesso passo da un approccio all’altro, registrando un cantato col cellulare in automobile, e mettendolo in griglia nella calma dello studio e del midi per rivederlo a tavolino. I risultati mi piacciono. Non vado oltre. Il resto sono segreti.
4. Qual'è invece il tuo metodo per la scrittura dei testi?
Parto da parole che mi colgono di sorpresa o parole a caso che poi metto in ordine per concluderci un testo. Può accadere che scriva prima il testo o prima la musica, in ogni caso non li scrivo mai insieme. Ci sono idee strumentali che hanno ancora bisogno di un compimento o idee testuali che magari rimarranno in forma scritta o troveranno una loro collocazione.
In un caso mi è capitato di voler scrivere un testo su un argomento e semplicemente documentarmi e cercare informazioni e parole che mi ispirassero.
E’ un processo lungo, diverso da quello più spontaneo, ma il risultato non cambia. Scrivi una canzone, in tante maniere, ma la scrivi. E andrà ascoltata sotto forma di ondata di frequenze, non letta da uno spartito col testo. Questa è una salvezza, almeno per adesso. Quando il mondo degli audiolibri investirà anche la musica e ci sarà il narratore di un disco, diventerò ufficialmente un serial killer.
5. Qual'è la tua canzone di cui sei più soddisfatto? Ce la racconti?
Ti porto l’esempio di una canzone scritta con un gruppo ed a cui onestamente ho contribuito per 1/6; “Anni di piombo” dei Virginiana Miller, nata da un grottesco e comico synth, è stata l’esempio di come una cosa possa diventare tutt’altro nel giro di un’ora, forse meno. Partiti appunto da quest’idea curiosa, siamo riusciti, tutti e sei, ad indirizzarla subito nel giusto binario.
In quella mezzora abbiamo scritto quella che forse è la nostra più bella canzone. E non ti sto a parlare di chimica, influssi magici e cazzate del genere.
Nella più totale inconsapevolezza, ma seguendo i nostri soliti decennali metodi, abbiamo deciso e registrato una struttura finale strumentale con un microfono. Il giorno successivo abbiamo registrato la voce di Simone, che nel frattempo aveva scritto il testo.
Fatto questo, mi sono permesso di sviluppare un’idea di archi del tastierista e di orchestrarla. Ma la versione “Lo-Fi” è davvero altamente emozionante.
Me ne sono reso conto quando ci siamo ritrovati alla prova successiva e realizzando come ognuno l’avesse ascoltata fino allo sfinimento, per capacitarsi di come fosse stato possibile, in un paio d’ore di lavorazione effettiva, arrivare a tanto.
6. Com'è suonare in una band?
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Chiaramente sono un bassista e pur non essendo una prima donna, mi rendo conto di avere le chiavi dell’apparato ritmico in mano. Sarà per questo che, a prescindere dal progetto, devo sapere tutto di ogni nota che suoniamo. Devo sentirmene il padrone.
E non è assolutismo. Piuttosto la speranza che anche gli altri lo facciano, per rendere il risultato qualcosa di più dinamico ed imprevedibile. Purtroppo è cosa rara, vedere questa caratteristica in un musicista. Semplicemente si tende ad accontentarci di ciò che sappiamo che ci riguardi.
Credo in definitiva che suonare in una band sia prima di tutto rispetto ed impegno verso gli altri e verso lo scopo prefissato. Di pari passo c’è la professionalità, e la convivenza di questi due aspetti spesso, nelle situazioni male organizzate o poco chiare, porta agli attriti.
Come in tutte le professioni, la democrazia nella musica non può esserci. Esiste a livello amatoriale e dilettantesco, quello si.
Ma ci sono i ruoli, più e meno importanti, le responsabilità, i guadagni. Se poi i meriti coincidono in misura equilibrata, significherà che quel gruppo è composto da tutte persone meritevoli ed in quel caso la meritocrazia coinciderà con la democrazia. Quelle sono le situazioni artisticamente migliori in cui lavori e ti sembrerà di giocare, in cui l’evoluzione farà parte del progetto stesso.
Ma la democrazia non può essere un punto di partenza o vivrai di riunioni di condominio, e sarà più il tempo dedicato alle discussioni burocratiche che alla musica.
Il buon senso, la professionalità e la fiducia sono invece un ottimo punto di partenza.
7. Come avviene il processo di arrangiamento di un brano?
Avviene per strati. Di solito parti dalle fondamenta, dove stanno seduti il ritmo e la base armonica.
La melodia, e il suo stesso ritmo, staranno in piedi in questo sottostrato, appoggiandosi, di volta in volta ad elementi di arrangiamento ritmici e melodici, più svolazzanti e meno portanti. Certo, questa è un’idea di massima, per fortuna esistono gli errori e le sorprese.
8. Quanto peso dai a fattori come il nome della band e la sua immagine?
Moltissimo, se non tutto. A meno che uno non faccia musica per sé e non abbia intenzione di condividerla con alcuno, il modo in cui ti esponi dovrà farti essere a tuo agio, per esprimerti al meglio, sarà il colore che accompagnerà i futuri ascolti della tua musica da parte di altri.
Alla resa dei conti, se si parla di un lavoro, si parla anche della necessità di vendersi. Di conseguenza della necessità di piacere, di lasciare un’idea di sé che funzioni insieme alla musica.
Sono aspetti che ho imparato ad apprezzare ad ogni livello, da John Frusciante con la camicia a quadri a Lady Gaga ed i suoi unici costumi. La spontaneità ha un suo nobile valore, così come l’efficacia.
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Dipende dalla situazione in cui stai suonando, di solito il live è una riproposizione accentuata della prova generale.
Solitamente per la musica che suono le mie esibizioni tendono ad essere energiche e leggermente più sfrontate. Mi piace che il pubblico si emozioni, che si sorrida, che si chiudano gli occhi, insomma che ci sia un effetto su chi ti ascolta.
Il mio strumento in questo senso è diventato un’esigenza fisica, quando hai un buon impianto ti arriva dentro la pancia e ti lascia un formicolio di cui mi sento orgoglioso.
Sotto l’aspetto tecnico sono decisamente puntiglioso, la preparazione di uno spettacolo è fondamentale e nel quarto d’ora precedente al concerto sono preso, per effetto di un po’ di tensione, dal bisogno di fare respiri profondi. E’ un momento quasi invisibile, tutto per me. Ma molto bello.
10. Fai un bilancio della tua attività di musicista fino a questo momento.
Non mi ero prefissato niente, a parte fare il possibile per essere felice del mio lavoro. Non è semplice, non è sempre rose e fiori, come per chiunque, ma ciò che conta è riuscire a svegliarmi felicemente. Stop.
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