Foto by Ass. Fotografica Il Salmastro |
N.B. Prima di cominciare, ti avvisiamo che ogni intervista di Livorno Acoustics è suddivisa in due parti. La metà che leggerai qui di seguito è incentrata sul processo creativo del cantautore, mentre l'altra metà che potrai leggere su Occhio Livorno approfondisce gli aspetti legati al suo rapporto con le istituzioni e con la professione di artista.
1. Cosa significa per te essere un creativo?
Essere un creativo significa, soprattutto, trarre spunto dal contingente, dall'individuale, per creare qualcosa che invece sia d'interesse per tutti. Ritengo che possa definirsi un artista, che uso come sinonimo di creativo, chi ha la capacità e soprattutto il desiderio di comunicare con gli altri e lasciare un segno della propria presenza nel mondo, attraverso i frutti del proprio ingegno.
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Ho sempre covato il desiderio di comunicare me stesso agli altri e trovo che la composizione di brani originali sia uno dei modi più belli e diretti per poterlo fare attraverso una forma artistica. Da bambino e da adolescente avevo cominciato con le poesie, ma lo scrivere testi musicali offre il vantaggio e la bellezza della “performance” dal vivo, che è qualcosa di intrinsecamente irripetibile e proprio per questo più memorabile e diretta. Senza contare che la possibilità di diffusione è senza paragone più ampia e che inoltre l'abbinamento alla musica regala un'efficacia ulteriore e diversa alla parola. Sia comunque detto che non ho abbandonato il mezzo della poesia e della prosa, che reputo forse meno adatte a questa fase della mia vita (e forse a questo momento storico) ma senz'altro dotate di una potenziale profondità ignota alla musica leggera.
3. Qual è il tuo approccio alla composizione musicale?
Credo fermamente nell'ispirazione. Non sono mai stato un autore eccessivamente prolifico, mi accorgo di scrivere 4\5 pezzi utilizzabili in un anno, anche se ve ne sono altri che mi vengono in mente e magari completo pure, ma che abbandono perché non ne rimango colpito. Posso dire che, per quanto sia secondo alcuni un luogo comune, i pezzi migliori sono quelli che “si scrivono da soli”, almeno a livello musicale. Se dopo mezz'ora che sono al pianoforte o alla chitarra non mi è venuto niente di buono, semplicemente smetto. Ma è anche possibile (anzi frequente) che, piuttosto che un intero brano, salti magari fuori un “riff” soddisfacente, che resta “nel cassetto” pronto per essere riutilizzato alla bisogna.
4. Qual è invece il tuo metodo per la scrittura dei testi?
Ho avuto sicuramente una formazione letteraria più intensa rispetto a quella musicale, quindi, se la composizione musicale ha un'impronta piuttosto istintiva, che inevitabilmente ne compromette anche la complessità, sui testi cerco di attuare una maggiore attenzione ai dettagli. Proprio per questo spesso la musica è la prima ad essere composta, così posso adattare il testo alle esigenze metriche ma soprattutto all'umore imposto dalla canzone. Nella mia esperienza ho trovato abbastanza irrinunciabile, per una sincera ispirazione, una costante ricerca autobiografica. Ma proprio perché ho l'ambizione di parlare agli altri e soprattutto ai ragazzi e alle ragazze della mia generazione, cerco di oggettivizzare i sentimenti e le tematiche che traggo dalla mia esperienza personale, cosicché tutti possano esserne toccati e stimolati nella riflessione. Credo che sia un dovere di chiunque abbia in qualche modo un pubblico, anche nell'accezione più modesta del termine (come nel mio caso), cercare di comunicare sinceramente e positivamente con gli ascoltatori. Non a caso tendo a non amare quegli artisti nei quali noto una certa freddezza o distacco dal pubblico, o peggio ancora una mancanza di sincerità. Ciò a prescindere dalle qualità tecniche e anche prettamente estetiche dei brani che propongono. Viceversa, questa mia visione mi ha fatto spesso amare gruppi anche molto diversi dai miei gusti e dalle mie opinioni personali, perché ho notato in loro una grande “urgenza” comunicativa.
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5. Qual è la tua canzone di cui sei più soddisfatto? Ce la racconti?
Ritengo che uno dei miei pezzi migliori sia “Cara Francesca”, almeno a livello di testo credo sia un brano dotato di una certa profondità. La melodia è davvero semplice, quasi banale, oserei dire una filastrocca. Tutta l'attenzione si è concentrata sul testo, che è in parte autobiografico ma soprattutto ispirato agli eventi della guerra civile italiana che concluse la tragedia del secondo conflitto mondiale. Documentandomi sull'argomento, rimasi molto colpito dal fatto che giovani della mia età abbiano volontariamente lasciato le loro case per combattere per quello in cui credevano, arrivando a morire per i loro ideali. Ritengo che, giusti o sbagliati che fossero, ciò meriti rispetto. Un rapido confronto con la società (e anche la scena politica) odierna mostra come vi sia stato un grande appiattimento, tale da poter dire con cognizione di causa che “my generation”, come altri avrebbero cantato, sia completamente priva di riferimenti ideali e valoriali, soprattutto a causa di un certo materialismo delle generazioni precedenti. Non mi ritengo certo migliore degli altri, ma con questa canzone ho voluto cercare di immedesimarmi nella parte di un soldato di quell'epoca che, condannato a morte, scrive un'ultima lettera alla ragazza che ama, esortandola a coltivare la sua interiorità e a ricordarsi del suo uomo non tanto per ciò che era, ma per le cose in cui credeva e per cui è arrivato a morire. Questo ritengo sia importante: in un'epoca in cui l'individualismo è sfrenato, cantare di come una persona non sia eccezionale di per sé, ma debbano essere le sue idee a parlare per essa. Idee che avrà comunicato con tanta più forza quanto più avrà dimostrato, con la sua vita, coerenza e rispetto verso di esse. Allo stesso tempo “Cara Francesca” è anche una canzone d'amore, visto non secondo una logica puramente esperienziale e sentimentale, ma come comunanza di intenti e di tensioni: “ricordati di me per quelle cose\ per cui ora muoio e muoio e penso a te” recita l'ultimo verso della canzone.
6. Com'è suonare in una band?
Suonare in una band è come far parte di una famiglia. Credo che suonare insieme ad altre persone, specialmente nel mio ruolo di compositore e autore dei testi, esponga davvero tanto della propria personalità alla conoscenza e anche al giudizio dei propri compagni. Per questo, almeno nella mia esperienza, ho avuto dei rapporti davvero stretti con le persone con cui ho suonato, né potrei, credo, suonare con persone con cui non c'è un sincero rapporto di amicizia e rispetto. Fortunatamente nei Siberia ho trovato tutto questo. Ho pensato in passato di tentare di fare il “solista” ed utilizzare dei turnisti per gli altri strumenti, ma suonare in un gruppo è semplicemente troppo più bello, il cameratismo, il senso di appartenenza, il darsi una mano, sono cose impagabili. Senza considerare l'apporto fondamentale degli altri a livello prettamente musicale! Io non sono certamente un tecnico e non padroneggio ad alti livelli alcuno strumento, dunque mi è assolutamente necessario che qualcuno aiuti le canzoni che scrivo a svilupparsi.
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Ogni qualvolta scrivo un brano ho già in testa, inevitabilmente, un abbozzo di arrangiamento. Di solito però ho le idee abbastanza vaghe, e non ho certo in testa le singole “parti” che ciascuno degli altri dovrà suonare. In generale ho comunque alcuni gruppi di riferimento, per quanto riguarda la maniera di arrangiare le canzoni (su tutti direi i Joy Division), ma spesso gli esiti sono assai diversi rispetto a come mi aspettavo in fase di composizione. Questa è proprio una delle cose migliori dell'essere una band rispetto ad un artista solista. Forse si perde qualcosa dell'unitarietà della “visione”, ma se ne guadagna in varietà e potenza comunicativa. Ognuno aggiunge qualcosa di suo, a cui gli altri, fosse anche solo per la minore dimestichezza con lo strumento, ma anche e soprattutto per la diversità degli ascolti, non avrebbero mai pensato. Trovo anche molto appagante il fatto che come performance i Siberia tendano ad apparire dal vivo molto più “aggressivi” che non sulle registrazioni. A mio parere queste sono la base che deve servire al pubblico per apprendere la canzone ed intendere a pieno il messaggio che essa contiene. Il concerto è invece la sede in cui la canzone viene vissuta, sia dall'esecutore che dall'ascoltatore, e dunque credo che sia naturale e bello che l'aspetto dell'energia sia privilegiato rispetto a quello della pulizia e della cura del suono, centrali invece in studio.
8. Quanto peso dai a fattori come il nome della band e la sua immagine?
Inevitabilmente sono aspetti cui stiamo lavorando, è inutile nascondersi dietro ad un dito, oggi le apparenze contano molto! Ciò è specialmente vero in un mondo come il nostro dove vi è una vera sovrabbondanza di musica ed è necessario utilizzare ogni mezzo per cercare di catturare un pubblico la cui soglia di attenzione media è davvero bassa (vista soprattutto la vastità dell'offerta). Nonostante questo, credo anche che si tratti di cose che possono anche venire con il tempo. Prima la musica, poi il resto credo che verrà da sé. Trovo inoltre anche abbastanza gradevole che vi sia una certa differenziazione tra un membro e l'altro del gruppo. Io ad esempio nel vestiario tendo ad essere un po' “dandy”, ma non credo che nuoccia all'impressione del potenziale ascoltatore non trovare il medesimo atteggiamento negli altri. Anzi credo che in qualche modo possa comunicare un impressione di maggiore “sincerità” nel nostro rapporto con la musica: significa che quando la facciamo rimaniamo semplicemente noi stessi, senza bisogno di maschere.
9. Come affronti le esibizioni live?
Dal vivo cerco e cerchiamo sempre di essere comunicativi rispetto al pubblico e positivi. Credo molto nella spontaneità anche nell'atteggiamento sul palco ed è una cosa che ho imparato con gli anni. Nei primi tempi tendevo ad essere molto più impostato e drammaticamente “serio”, come che non esserlo sminuisse in qualche modo il valore di ciò che stavamo facendo. Ho notato invece che il pubblico tende a valorizzare maggiormente le nostre esibizioni se cerchiamo di abbattere le barriere che ci sono e parlare in libertà. Una cosa che mi piace molto è introdurre brevemente alcuni pezzi, cercando di dipanare un po' i testi più criptici. Inevitabilmente mi è successo di impappinarmi ed essere anche bonariamente schernito durante questi momenti, ma fa parte del gioco e anzi mi fa piacere far capire a chi ascolta che mi emoziono e mi imbarazzo quando sono sul palco. Preferisco un'esibizione con degli incidenti di percorso di questo genere, ad un'esibizione fredda.
10. Fai un bilancio della tua attività di musicista fino a questo momento.
Rispetto a quando ho cominciato, qualche anno fa, la cosa che più mi ha dato soddisfazione è stato vedere come hanno preso a seguire noi Siberia anche molte persone che esulano dalla ristretta cerchia di amici e parenti. Non solo, anche persone che non ci conoscono affatto e sono arrivate a contatto prima con la nostra musica che con noi come persone. Inutile dire che la parte più bella e appagante del nostro lavoro sia questa, cioè capire che attraverso quello che facciamo possiamo comunicare noi stessi e quello in cui crediamo a molte più persone di quante potremmo. Basta dare un'occhiata ai commenti della nostra canzone “Irripetibile” su youtube per rendersene conto. Ecco, questa è la strada che abbiamo intrapreso e spero che il futuro ci riservi la possibilità di far conoscere la nostra musica al numero più alto possibile di persone, a prescindere dalla possibilità o meno di farne una professione vera.
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